Secondo le diverse circostanze e i diversi significati che possono dare al verbo ( ma anche all’aggettivo o ad altro avverbio), si distinguono in:

AVVERBI DI MODO O MANIERA

In italiano, moltissimi di tali avverbi derivano da aggettivi qualificativi, aggiungendo al femminile dell’aggettivo il suffisso <mente>.
Nel dialetto lodigiano tale derivazione è invece infrequente, in quanto, quasi per regola, viene utilizzata in sostituzione una locuzione avverbiale, che inizia con una preposizione. Tale formula dà (unitamente ad altre gustose locuzioni di carattere allegorico) particolare efficacia al discorso, con una scelta più ampia e colorita di soluzioni.


Seguono alcuni degli avverbi di modo più frequenti, scelti fra quelli che non derivano da aggettivi.


AVVERBI DI LUOGO


Le particelle atone «ghe» «na» «nun» possono fungere da avverbi di luogo. Come le particelle pronominali, si possono anteporre, posporre o unire in suffisso al verbo cui si riferiscono, es.: ghe vo no <non ci vado>; na végni föra <ne esco>; vegnìnun föra <venirne fuori>; vàghe no <non andarci>.
Alcuni avverbi di luogo possono assumere anche un valore temporale, es.: da trì àni in sà <da tre anni in qua>; da chì a dumàn <da qui a domani>; el vintisèt l’è amò luntàn <il ventisette è ancora lontano>.

AVVERBI DI TEMPO


AVVERBI DI QUANTITÀ


AVVERBI AFFERMATIVI


AVVERBI NEGATIVI


«nò» è la particella negativa più usata, secondo la regola che, quando ha la funzione dell’italiano <non>, si trova sempre dopo il verbo (es.: per fà nò brüta figüra = <per non fare brutta figura>; l’ho vìst nò = <non l’ho visto>; me la sénti nò = <non me la sento>; l’è bón nò = <non è capace>). In alcuni casi viene usato anche in assenza di verbo, posticipato a un aggettivo (es.: bèl nò, con il significato eufemistico di <brutto>); bón nò (<incapace> <inetto>).
«nùn» viene usato rarissimamente. In tali casi precede il verbo (es.: per nùn fa brüta figüra). Viene usato anche per il grado comparativo e superlativo degli aggettivi (vedi).
« mìnga» viene utilizzato diffusamente come ulteriore forma negativa, anche come alternativa a «nò»; a differenza di quest’ultimo, nei tempi composti si pone tra il verbo ausiliare ed il participio (es.: l’ho mìnga vìst <non l’ho visto>); nei tempi semplici segue il verbo (es.: el ghe véde mìnga <non ci vede>)

In italiano, nelle frasi negative che comprendono parole come <niente> <nessuno>, o altri avverbi negativi come <mai> <neanche> <più>, ecc., si usa la doppia negazione con <non>, es.: <non voglio niente> <non vedo nessuno> <non studia mai> <non mangia neanche un po’> <non ne voglio più>. In dialetto, la negazione corrispondente a <non> è sempre assente (es.: vöri gnént; védi nisün; el màngia gnànca un po’; na vöri pü).

AVVERBI DUBITATIVI


AVVERBI INTERROGATIVI

Diventano avverbi interrogativi: avverbi di modo e di tempo, congiunzioni, sostantivi, quando danno inizio ad una domanda.


«perchè» viene spesso sostituito con una perifrasi, che utilizza l’avverbio «se» <cosa> in inizio di frase, terminando con «da fà» (es.: se ‘l vùŝa da fà? <perché grida?>).


AVVERBI AGGIUNTIVI


« ècu» può fondersi con particelle pronominali, es.: ècul, ècula, ècuci, ècuv, ècui, ècule (<eccolo> <eccola> <eccoci> <eccovi> <eccoli> <eccole>); mancano prima e seconda persona singolare.
Esistono anche le forme «tél» «téla» «téi» (o «ti») «téle» per indicare qualcuno o qualcosa vicino (es,: tél chì <eccolo>), o lontano (es.: téle là <eccole là>); oppure che compare improvvisamente o di cui comunque ci si accorge (es.: tél chì dùn l’é <eccolo qui>). Tali forme sembrano derivare dalla semplificazione di originari «ècutel» «ècutela», ecc.