DIZIONARIO DEL DIALETTO LODIGIANO


PRESENTAZIONE

ORTOGRAFIA

GRAMMATICA
MODI DI DIRE
RICERCA ITALIANO = DIALETTO


Per tutti i dialetti, la grafia costituisce uno dei temi più controversi.
Considerato che dialetti di grande tradizione, anche letteraria, sono tuttora soggetti a contrastanti scelte ortografiche, è comprensibile che per il dialetto lodigiano (o meglio, per i diversi dialetti lodigiani) il problema sia maggiormente sentito.
La grafia utilizzata nelle mie pubblicazioni si basa su regole di coerenza fra suoni e segni, tenendo come riferimento di base il sistema ortografico della lingua italiana, per semplicità e facilità di interpretazione.
Le complessive soluzioni grammaticali (fonologia, morfologia e sintassi) si rifanno ai criteri esposti nel mio “Dizionario del dialetto lodigiano” e sono state adottate per rappresentare il nostro dialetto nel lavoro “Parlate e dialetti della Lombardia – Lessico comparato”, promosso dalla Regione Lombardia, curato da Claudio Beretta e pubblicato nel 2003 negli Oscar Mondadori: uno studio che mette a confronto tutte le parlate lombarde e che propone una grafia lombarda semplificata e unificata (esposta al termine di questo capitolo), con la quale concordano pressoché integralmente le scelte che espongo di seguito.

Vocali

«a», «e», «i», «o», «u» = I segni e i suoni delle vocali sono gli stessi dell’italiano, oltre a «ö» e «ü».
Vale la regola che l’accento grave «`» indica vocale aperta (es. pèl = <pelle>; pòrtegh = <portico>) e l’accento acuto «´» indica vocale chiusa (es. péi = <peli>; ŝbaüsón = <sbruffone>).
Anche il dialetto lodigiano conosce i suoni turbati di «o» e di «u»:
- «ö», da leggere secondo la pronuncia tedesca, o la pronuncia del dittongo oeu francese (es. cör = <cuore>)
- «ü», da leggere secondo la pronuncia tedesca (es. dür = <duro>).
Le vocali «ü» e «ö» sono da considerare accentate, quando non siano evidenziati nella parola altri accenti tonici.
Nei vocaboli con due «ü», o con entrambe le turbate «ü» e «ö», se l’accento tonico non è presente su altra vocale (es. sülüsión = <soluzione>), cade per regola sulla seconda turbata (es. püdüd, cücüsul: <potuto>, <cocuzzolo>; büŝaröla,
ŝgüiaröla: <gattaiola>, <scivolo>).
Nel dialetto lodigiano non esistono vocali lunghe.

Consonanti

La parlata lodigiana non conosce consonanti lunghe (doppie). Le eccezioni riguardano scelte espressive di colore e di intensità.

«c» e «g»=
I suoni gutturali di «c» e «g» in fine di parola vengono indicati con «ch» e «gh». All’interno della parola valgono le stesse regole dell’italiano.
«d» e «t»=
In fine di parola la «t» si è affievolita in «d»; ciò è del tutto evidente quando alla consonante si appoggia una vocale per la formazione del femminile e del plurale («finìda» «finìdi» «nasüda» «nasüdi»). Uso pertanto la «d»; sarà così più distinguibile, fra l’altro, la particella pronominale della seconda persona singolare, legata in forma enclitica al verbo (es. «sentìt» = <sentirti>).
«s»=

Nel dialetto scritto si usa spesso raddoppiare la «s» sorda (come in <sale>) all’interno o alla fine delle parole, per distinguerla dalla «s» sonora (come in <rosa>). Ciò senza una regola precisa.
Tale soluzione potrebbe indurre ad una lettura scorretta.
È altrettanto vero che, nell’ambito di un testo, parole come «piàsa» (<piazza>) o «mésa» (<messa>) possono confondersi con parole d’altro significato: <piaccia> o <mezza>.
Da considerare che anche in italiano esistono vocaboli uguali con significato diverso, intuibile solo dalla loro funzione nel contesto del discorso. Uso a volte anch’io la doppia «s», nei casi in cui maggiormente possano determinarsi equivoci di lettura.
Per distinguere la «s» sonora viene usata a volte anche la «z» (del tutto assente nel nostro dialetto, sia sorda sia sonora). Ciò potrebbe indurre in errore i lettori lodigiani stessi quanto, e soprattutto, i lettori delle altre province, abituati a dialetti che conoscono i suoni di «z».
In proposito ho seguito il criterio adottato dai migliori dizionari italiani, dove la «s» sonora viene rappresentata con un grafema diverso (es. «», o «
š», o «ŝ»).
Ho pertanto mantenuto «s» per il suono sordo, mentre per il suono sonoro ho adottato «
ŝ», essendo di difficile utilizzo sul computer il segno «š».

N.B. - Nei miei primi lavori (Fanfulla da Lodi, 1988) avevo usato il segno «š»; successivamente, per motivi tecnici, sono ricorso al segno «ŝ».
Come piccolo contributo all’obiettivo di unificazione della grafia dei dialetti lodigiani, mi allineo alla scelta di due tra i più fecondi scrittori della nostra terra, con i quali già condivido la maggior parte delle altre soluzioni ortografiche. Mi riferisco ad Aldo Milanesi, autore del Dizionario Casalino-Italiano (1991) ed a Tranquillo Salvatori, autore della traduzione integrale in dialetto della Divina Commedia. (2005)

L’incontro della «s» con la «c», con suoni distinti, viene rappresentato con «s’c» (es. «s’cena» <schiena>).

«v»=
In fine di parola la «v» tende al suono di «f». Ho scelto di mantenere il grafema «v», così che, per esempio, da «növ» possano discendere coerentemente «növi» «növa» «növe».

Accentazione

Di regola, le vocali toniche vengono accentate:
• nei vocaboli tronchi: es. guardà, savé, sentì, amò, udù.
• nelle parole pseudo-piane, derivanti da vocaboli sdruccioli italiani (con accento sulla terzultima sillaba): es. mànegh, artìcul, crìtich.
• nelle parole sdrucciole: es. sàguma, delìbera, pulìtica.
• nei pronomi personali: es. mè, tò, sò.• nelle forme dei verbi all’infinito: es. mét, picàs, vedés, rustìs.
• nei verbi con suffissi pronominali: es. mangiàla, vedét, capìm.
• nelle forme imperative dei verbi: es. ciàpa.
L’accento tonico viene posto in tutti gli altri casi in cui si intenda favorire una lettura inequivocabile, soprattutto in presenza della «ü» atona: es. püdarés, asünsión, lüghìd.

Per lo scopo didattico che si prefiggono, i dizionari (sia italiani sia dialettali) evidenziano di regola tutti gli accenti tonici, per condurre più agevolmente il lettore nella corretta pronuncia.
È il criterio che ho seguito nella stesura del “Dizionario del dialetto lodigiano”.
Nei testi letterari e nelle altre pubblicazioni ogni dialetto codificato si dovrebbe proporre con un sistema più sobrio, che rispetti le necessità di scorrevolezza nella lettura, ma che nello stesso tempo non comprometta la correttezza di interpretazione dei suoni e la comprensibilità delle parole, soprattutto nei riguardi di lettori “non locali”
Il capitolo che segue illustra la proposta di una grafia unificata, che possa consentire anche ai “non addetti ai lavori” la lettura dei dialetti lombardi secondo una rappresentazione univoca dei segni fonetici. È il modo più efficace per favorire la sopravvivenza e la diffusione delle opere dialettali.
Nella tabella vengono messi a confronto l’attuale sistema ortografico del dialetto milanese con la nuova proposta, che risponde alle esigenze di un problema avvertito fin dall’inizio del ‘900. Da notare l’abbandono del segno “z” e dei segni “o-ó-ô” per la “u” toscana, l’introduzione dei segni “ö” e “ü” e le soluzioni per i suoni sordi e sonori di “s”.
Tenuto conto della mancanza di suoni lunghi o doppi nel nostro dialetto, e delle altre distinzioni lessicali e di pronuncia, si può verificare l’allineamento delle scelte da me effettuate con la proposta qui illustrata.

GRAFIA LOMBARDA SEMPLIFICATA