L'AUTORE


BRUNO PEZZINI è nato il 16 gennaio 1940 a Lodi, dove vive.
Già dirigente bancario, esperto di organizzazione aziendale,
è appassionato cultore delle tradizioni locali.






PRESENTAZIONE


Sapremo conservare i caratteri che hanno contraddistinto l’indole, i modelli di convivenza, i sentimenti di una “lodigianità” spesso svilita? O l’aggettivo “lodigiano” si ridurrà a definire l’appartenenza ad una specifica area geografica?
Il progresso è un fenomeno inarrestabile, ma il processo evolutivo verso il miglioramento (si spera) delle condizioni di vita e la tutela delle nostre tradizioni non sono concetti antitetici; poiché l’origine è la meta.
Non si è mai spenta la polemica fra chi considera i dialetti come strumenti di comunicazione di serie inferiore e chi, invece, come espressioni preziose di una cultura che, con il loro accantonamento, rischia di perdere la sua memoria storica e le sue identità.
I dialetti venivano visti come strumenti poveri ed il loro uso esclusivo nelle comunicazioni verbali denunciava l'appartenenza ad una classe sociale inferiore.
I primi vocabolari dialettali si proponevano lo scopo filantropico di aiutare il parlante "povero" a tradurre le parole nella lingua ufficiale. Nel presentare la seconda edizione del suo Vocabolario pavese–italiano ed italiano–pavese, Carlo Gambini scriveva nel 1850: “Se le scienze, le lettere, le arti ed il commercio in questa Penisola ritraggono gran vantaggio dal comune uso di una sola lingua... gravissimo danno quelli ne soffrono dai dialetti, i quali confondono le voci, impediscono la reciproca intelligenza, e conseguentemente le necessarie distinte ed esatte comunicazioni. Per ciò non sarà mai abbastanza commendato lo studio della lingua colta italiana, e grande interesse e cura vuolsi avere per avvicinare il più possibile i dialetti colla lingua nobile e comune a tutta Italia, e distruggerli anco, ...”.
Se lo scopo era quello di insegnare l'italiano e distruggere i dialetti, mancava evidentemente l’interesse a dare regole grammaticali ad un mezzo d’espressione che viveva solo oralmente.
Ciò fino a quando le parlate locali sono state inserite (non da molto) nel patrimonio dei valori da tramandare e salvaguardare.
La cultura non è proprietà esclusiva di professori, scienziati, politici, letterati e di autori cinematografici o televisivi. Accanto alla cultura dell’intelligencija è sempre esistita, e tuttora esiste, una cultura popolare del lavoro, della fatica, del gioco e degli affetti, certamente più ricca di sfumature e di suggestioni evocative.
D’altra parte, nemmeno per l’italiano s’usa più l’accezione di lingua colta. Il lessico della lingua nazionale parlata dalle nuove generazioni è andato via via scarnificandosi, riducendosi alla povertà di circa tre-quattrocento vocaboli. E la lingua ufficiale è sempre più pervasa da numerosi termini stranieri, legati alla nuova economia, alle nuove professioni ed a formule comunicative globalizzanti.
E’ l’epoca dell’immagine e della comunicazione di massa, supportate da una tecnologia che ha prodigiosamente modificato i nostri schemi comportamentali.
Il rischio è che nella sintesi semplificante del nuovo linguaggio centralizzato (omologato dall’idioma televisivo) si atrofizzino anche la formulazione del pensiero e la spontaneità delle emozioni.
Con il dialetto, le antiche generazioni hanno accumulato un grande tesoro, che ci è stato tramandato nella sua colorita espressività e che sarebbe colpevole lasciar appassire nel ricordo nostalgico di come eravamo. Un patrimonio morale che, purtroppo, viene gestito come un’eredità superflua, se non scomoda.
Il nostro dialetto, fortunatamente, non è ancora morto.
È vero, si sta italianizzando, ma negli ultimi decenni si è rivitalizzato, grazie all’impegno di numerosi appassionati che operano in campo teatrale, letterario e poetico. Un impegno che non trova sufficiente adesione nella scuola, dove questo elemento di arricchente diversità potrebbe essere proficuamente insegnato ai giovani.
Per quanto mi riguarda, ho sentito come un obbligo l’obiettivo di lasciare testimonianza delle nostre peculiarità. Ho iniziato negli anni settanta con le commedie La not de Santa Lüsìa e Fanfulla da Lodi (pubblicate rispettivamente nel 1985 e nel 1988) e con la rivisitazione di Sposa Francesca del De Lemene: lavori teatrali che, insieme con un ricco repertorio in lingua, ho numerose volte portato sul palcoscenico con la mia Compagnia Teatro dei Giovani di Lodi.
Ho pubblicato il Dizionario del dialetto lodigiano (distribuito anche a dispense, nella seconda edizione del 2000, da Il Cittadino).
Alla fine del 2002 ho dato alle stampe El Vangeli del Signur (Ed. Il Pomerio), versione in dialetto lodigiano del Vangelo di Gesù.
Nel Dicembre 2003 è uscita la Tùmbula ludeŝana (ancora da Il Cittadino), avente l’obiettivo non solo di far rivivere una tradizione popolarissima fino a qualche decennio fa; sul retro delle quarantotto cartelle sono infatti rappresentate altrettante figure della nostra storia, con lo scopo di far meglio conoscere personaggi meritori, molte volte dimenticati, ai quali sono legati proverbi, motti e sentenze inerenti alla loro personalità o alle loro opere.
Infine è stata la volta di La Gàbula del lot ludeŝana (Gennaio 2004).
La Gàbula del lot propone l’interpretazione dialettale di oltre tremila sogni (o fatti che colpiscono l’attenzione durante la giornata) con relativi numeri cabalistici (per chi ci crede) in chiave “autoctona”, diversa dalla più conosciuta Smorfia (per noi sarebbe Moca) napoletana o romana.
Con questi ultimi lavori mi sembra di aver chiuso un ciclo, che abbraccia la nostra koinè, il sentimento religioso della nostra gente, per finire con il gioco e le superstizioni.
Nel 2005 ha pubblicato Pecadi e penitense, poemetto satirico in versi lodigiani, che tratta dei problemi vecchi e nuovi della città di Lodi, dei suoi abitanti e dei suoi amministratori.
Bruno Pezzini



“...Pezzini si è reso benemerito grazie ad una puntuale riscoperta, rivisitazione, valorizzazione del dialetto della terra lodigiana. Il suo corposo vocabolario del dialetto lodigiano, la recente realizzazione della “Tùmbula ludesana”, il successo della “Gàbula” hanno permesso a tutti i lettori di tornare ad impadronirsi di una lingua che sembrava destinata a morire. Tra le opere pubblicate da Bruno Pezzini spicca anche la traduzione in dialetto dei Vangeli....”
“Il Cittadino”
Ferruccio Pallavera (2004)



“Per lui il dialetto è quasi una malattia. Da decenni ormai Bruno Pezzini si dedica alla riscoperta della lingua lodigiana, scrivendo testi teatrali e raccogliendo informazioni che qualche anno fa ha inserito in un Dizionario del dialetto lodigiano che per la gente della Bassa è un'opera capitale. Dentro un volume di 670 pagine sono raccolte oltre diecimila voci, cinquemila modi di dire, più di undicimila parole messe a confronto. Scorrendo le pagine, una dopo l'altra, si compie un viaggio alla scoperta della cultura lodigiana, che ha la sagacia e la bonomia del mondo contadino, ma anche una vitalità sorprendente.
Oltre ad essere l'autore del dizionario lodigiano - in cui si prendono in considerazione anche frasi fatte colorite e qualche parolaccia - Pezzini è soprattutto uno scrittore di dialetto. Anzi, un commediografo, un capocomico, uno che quando lascia l’italiano per il lodigiano dimentica anche il doppiopetto della professione e indossa un costume adatto allo sberleffo.
Manager di giorno e teatrante di sera, Pezzini ha trascorso la sua vita cercando di ridare dignità al vernacolo lodigiano. Ex Direttore Centrale della Banca Popolare di Lodi, esperto di organizzazione e di informatica, ha usato il computer per migliorare la ricerca filologica sulle parole dialettali e le sue competenze di coordinamento per far rinascere la Compagnia Teatro dei Giovani di Lodi che per vent’anni, dal 1974 in poi, è stata un punto di riferimento per i talenti emergenti della città. Il gruppo ha portato in scena testi classici rivisitati e commedie scritte dal suo capo carismatico, che mescolano ricordi letterari e esperienze di una vita nella Bassa. Come dimostra "La not de Santa Lüsìa" (...), si scopre lo stile allegro di Bruno Pezzini, che caratterizza anche il dizionario, elaborato in venticinque anni di ricerca sui testi, indagine orale e riflessione. A spiegare lo stile del personaggio basta la dedica del volume. Nella prima pagina di un lavoro severo e scientifico Pezzini scrive: «A sei donne e un whippet». Sono madre, moglie, due figlie e altrettanti nipoti, che hanno frastornato e influenzato il commediografo, spingendolo a confidarsi con il fido levriero whippet di nome Pegaso, che non parla «perché non gli va», ma come il suo padrone è nervoso, scattante e buono quanto il pane.
“Corriere della Sera”, recensione del Dizionario del dialetto lodigiano
Caterina Belloni (2001)



• Per l’attività svolta, sia Bruno Pezzini (1980) sia la Compagnia Teatro dei Giovani di Lodi (1985) hanno ricevuto attestati di benemerenza civica dal Comune di Lodi.
• Bruno Pezzini ha ricevuto inoltre i premi San Cristoforo (1994), il premio speciale Concorso De Lemene (1999) e Pro loco di Lodi (1999)