PICCOLA ANTOLOGIA DELLA LETTERATURA LODIGIANA

a cura di Bruno Pezzini

Che tipo di ispirazione può suggerire la visione di infiniti orizzonti verdi ed assolati nelle belle stagioni, di campagne irrorate da un fitto reticolato d’acqua, o di grandi ed avvolgenti nebbie invernali? L’agro lodigiano è stato descritto come “... il più fertile di tutti i confinanti che poteva chiamarsi il modello della Gallia Cisalpina ed a detta di tutti gli scrittori, essendo dessa superiore a tutte le altre parti di Europa, e questa all’Africa ed all’Asia, quindi con tutta ragione possiamo dire che l’agro lodigiano è il più beato di tutti quelli che stanno sotto la cappa del cielo” (Gaudenzio Merula, Antichità dei Galli Cisalpini).
Risaliamo nei secoli e leggiamo i versi di Filiberto Villani (†1709), tratti dal poema Lodi riedificata:

Quell’erbe molli onde ogni campo è pieno
Cui par che col bagnar la Muzza allatte
Pascon mandre mugghianti a cui dal seno
sgorgan di dolce umor bell’onde intatte

Occorre dire che la natura è stata aiutata dal tenace lavoro degli avi, grazie ai quali i lodigiani hanno potuto ereditare una terra così generosa ed amena (sapranno conservarla?...). Si pensi all’escavazione del canale Muzza (1220), un’opera grandiosa, realizzata quando Lodi sopportava i massimi travagli della sua storia, dopo la distruzione della Città da parte dei milanesi, le lotte tra i Comuni lombardi e tra questi e il Barbarossa, fondatore di Lodi nuova nel 1158.
Considerata l’eterogeneità delle tante testimonianze lasciateci in ogni campo, dalle lettere alle arti figurative, dalla scienza all’economia, più che all’influenza del clima e dell’ambiente, viene da richiamarsi alla cosiddetta “buona indole” dei lodigiani, temprata nei secoli da una storia di avversità e disagi, che sono stati affrontati e superarti con spirito di sacrificio e intraprendenza. Una buona indole che nasconde in sé, tuttavia, una certa qual modestia ed una riservatezza che portano a sottovalutare il patrimonio culturale di Lodi. Un difetto di marketing (il termine qui suona male, ma dà l’idea) che ha penalizzato anche la conoscenza delle sue glorie.
Questa iniziativa editoriale rappresenta pertanto una delle favorevoli opportunità di divulgazione in un campo, quello delle produzioni poetiche in una lingua locale che ha conservato caratteri tipici, chiaramente distintivi rispetto ai dialetti delle altre città lombarde.
La piccola Antologia che segue nasce da un excursus, non intenso ma significativo, dal XI al XX secolo, che si pone nel coro della più vasta tradizione regionale. Sono testimonianze discontinue, intervallate da lunghissimi silenzi, che raggiungono vertici di eccellenza alla fine del ‘600 con la Sposa Francesca di Francesco De Lemene, per la conoscenza del quale proponiamo anche alcuni saggi di opere in italiano.

Sull’evoluzione della parlata lodigiana si rimanda alle considerazioni svolte più avanti nel capitolo riguardante Francesco De Lemene.

Uguccione da Lodi

Leggenda agiografica di S. Bassiano (Anonimo XIII-XIV secolo)

Codice dei disciplini (XIII-XIV secolo)

Francesco De Lemene
-
L’uomo e il suo tempo
- Poeta profano
- “Della discendenza e nobiltà dei maccaroni”
- Poeta sacro
- “Dio” e “Del Rosario di Maria Vergine”
- Poeta dialettale
- “Olindo e Sofronia”, dalla Gerusalemme liberata
- “Sposa Francesca”

Poeti del XVII, XVIII, XIX secolo

Gianstefano Cremaschi

Enrico Achilli (kilu)