TRADIZIONI

178

Pàul inciòda.

Dalla tradizione milanese; "Paolo Acciuga" era un famoso saltimbanco dei tempi andati, così soprannominato per l'estrema magrezza che doveva conservare per riuscire nei suoi particolari esercizi; in dialetto lodigiano ha assunto anche il significato di minchione, stupidotto.

179

Lasél pasà, che l'é de Lòd.

Era il grido dei gabellieri sull’Adda e sul Po, quando sotto la protezione di Federico Barbarossa i Lodigiani erano esentati dal pagare dazio per il trasporto di merci su fiume. Successivamente, e fino ai giorni nostri, è stato usato come scherno dagli abitanti dei paesi vicini, o dai Lodigiani stessi verso un concittadino pretenzioso e arrogante.

180

Gìgi de la gnàcia.

Un popolare venditore di castagnaccio, che portava la sua merce fumante davanti alle scuole.

181

Gìgi, pesèto!

"Gigi, un pezzetto!".
Implorazione a "Gìgi de la gnàcia" per ottenere un pezzettino gratis.

182

I gàti sü i téci i rùmpun i cùpi.

Prova verbale per accertarsi delle origini lodigiane.

183

I dì de la mèrla.

Sono gli ultimi tre giorni del mese di gennaio, solitamente fra i più rigidi dell’anno. Sul perché siano così denominati, esistono numerose versioni. Ne riportiamo una, descritta dallo storico lodigiano Giovanni Agnelli:

Al tempo in cui parlavano e bestie e piante e mesi, la merla, vedendo allungarsi i giorni e diminuire alquanto l’intensità del freddo, contenta di vedere fuori di pericolo i suoi merlotti, uscì cantando dal suo nascondiglio, e disse al mese di Gennajo, il più rigido dell’anno: Adesso non ho più paura di te. Ma Gennajo, adirato contro l’insolente, decise di farla pentire della sciocca proposizione, e quasi che non bastassero i due giorni che ancora gli rimanevano, giacchè si era ai 28 del mese, se ne fece imprestare uno da Febbrajo, che rimase con 28 giorni, e così in questi tre giorni fece un freddo tanto crudo che la merla, per salvarsi, dovette rifugiarsi nei fumaiuoli, dai quali uscì nera. A proposito di questo imprestito fatto da Febbrajo, che non ebbe mai più la relativa restituzione, si conserva ancora un dialoghetto che in certi luoghi fa parte della Canzone della Merla: esso si rammenta ogni anno dai crocchi, nelle sale, ai focolari e nelle stalle: suona come segue:

Merla:
Più non te temi, Giannèe
Adess che i me merli i ho levèe.
Gennajo: Ah, sì? – Du gh’i ho
Vun l’imprestaróo
Bianca te sèe
Negra te faróo.

Ci è stata tramandata anche una simpatica testimonianza dei primi anni del'ottocento, quando nelle nostre campagne si potevano ascoltare i versi della "Colombina", cantata dalle ragazze in occasione dei giorni della merla. Non ci è stata tramandta la musica.

La colombina bianca sa ben volà
La colombina bianca sa ben vola.
Le la sa ben volà.

La vola sulla brocca, la donderà.
La vola sulla brocca, la donderà
Lei bella donderà.

La vola in riva al mare, la beverà
La vola in riva al mare, la beverà
Le bella beverà.

La vola in mezz'al mare, la negherà.
La vola in mezz'al mare, la negherà.
Lei bella negherà

Trà la rocca e 'fus in mezz'a l'era.
Trà la roca e 'l fus in mezz'a l'era.
Viva l'amor, vivà!

A fa l'amor ghe veur tre bele cose.
A far l'amor ghe voeur tre belle cose.
Viva l'amor, viva!

Bellezza, onestà, parole poche.
Viva l'amor, vivà!

184

Pampalüga ludešàn, làrgh de bùca, strét de màn.

Conferma del proverbio, con attribuzione delle caratteristiche negative alla maschera lodigiana.

185

La sucetà de la caràfa.

Sodalizio di frequentatori abituali di un’osteria; su una tabella affissa nel locale erano schierate, appese a ganci numerati, alcune decine di caraffe; all’ingresso, i clienti levavano la propria; quelle rimaste segnalavano "assenze", che, se non giustificate, venivano penalizzate con una multa; la somma raccolta veniva investita in un incontro conviviale fra gli aderenti in occasione delle feste di fine anno.

186

Mòrt (Paolo) Gorìni.

Risposta ironica a chi dà una notizia già vecchia, come se fosse nuovissima.