IL DIALETTO LODIGIANO

Le origini dei dialetti emergono sfumate nel corso dei secoli.
Il dialetto lodigiano à classificato tra i cosiddetti dialetti gallo-italici. Gli insediamenti gallici prelatini nel nostro territorio, la colonizzazione romana ed il susseguirsi delle dominazioni delle etnie germaniche hanno determinato l’evoluzione e la caratterizzazione della nostra parlata.
Il tema è complesso. Per il suo approfondimento, il lettore interessato ha a disposizione un vasto materiale di studio, reperibile anche su Internet.
La definizione di "dialetto lodigiano" non è estensibile a tutta la Provincia di Lodi, poiché in questa vivono diverse varianti. Già in Lodi città ci sono differenze (a volte più che sfumature) tra la parlata del centro e quella dei rioni. Appena fuori Lodi, verso Pavia, Piacenza, Cremona e Milano, le differenze si fanno progressivamente più marcate. I dialetti di Sant'Angelo Lodigiano, di Casalpusterlengo, di Codogno, di Castiglione d'Adda, di San Colombano, ecc., hanno parole, declinazioni e accenti diversi.
Inoltre, le espressioni lodigiane da tempo non sono più quelle del mondo contadino. Lodi ha subito, già a partire dalla seconda metà dell’800, profondi mutamenti nei modelli di vita. I lodigiani, pur senza rinnegare la matrice agricola, sono diventati orgogliosi del loro stato di cittadini.
Ecco quindi che accanto ad espressioni legate alla terra ed al ciclo delle stagioni, si sono andate via via affermando espressioni tipicamente urbane.

Esiste un vuoto di 300 anni fra il dialetto di “Sposa Francesca” di Francesco De Lemene e l'attuale nostra parlata. Molti vocaboli sono andati in disuso o del tutto perduti. Esisteva la forma del passato remoto: ora non esiste più; esisteva la forma interrogativa: ora usata ancora nei paesi limitrofi a Lodi. Inoltre, come scriveva Cesare Vignati nel 1857: “Il dialetto sia antico che attuale della città di Lodi non ha altro suono fuori della pronuncia nazionale italiana che un certo “o” chiuso (che qui rappresentiamo con “ó”, ndr.) molto vicino alla “u” toscana, o più simile al dittongo “ou” francese, usatissimo in città invece del dittongo “eu” francese, quale si sente nella provincia e nel milanese”. Si diceva cór, fiól, fógh, invece di cör, fiöl, fögh.
La grafia adottata dal De Lemene e dai trascrittori, fortemente influenzata dai modelli del dialetto milanese, non rende un’idea oggettiva di quale fosse la pronuncia del lodigiano in quell’epoca, che si presume fosse vicina a quella attuale, a parte l’eccezione di cui sopra. La “u” atona viene infatti rappresentata con la o (es. con, in luogo di cun; Signor per Signur; sonà per sunà). Il suono “ü” è rappresentato con la semplice “u” (es. dur per dür, curt per cürt). Altri imprestiti fuorvianti sono l’uso del segno “z” e delle consonanti doppie, tra vocali o in fine di parola (es. dottor, cossetta, cioccolatt, lett, mett, palett).
La pronuncia lodigiana (non solo in Lodi città) non conosce il suono rappresentato da “z”, né aspro né dolce. Nemmeno conosce i suoni lunghi, sia di consonanti sia di vocali, e non li doveva conoscere nemmeno allora; dovremmo altrimenti constatare che invece di fondersi col dialetto della vicina metropoli, la nostra parlata sia andata ancor più distinguendosi.
Bernardino Biondelli (Saggio sui dialetti gallo-italici, 1853) scriveva sul nostro dialetto: “Le principali (caratteristiche) consistono nel terminare con vocale i plurali dei nomi, al modo comune italico, dicendo: “gatti”, sassi”,”porte”,”scarpe”, ecc., il che si stacca da tutti i vicini dialetti. La stessa proprietà estendevasi nei tempi addietro anche ai singolari di parecchi nomi.... Termina in “e” disaccentato gli indefiniti che negli altri dialetti si troncano, come:” lege”, “vede”, “sente”, “ dorme”....Permuta in ” e” la “a” degli imperfetti nei verbi, dicendo: “andeva”, ” portévan”, ” lavoréss”, ” mangiéss”...Terminava in “ài” i participij passati dei verbi irregolari, e in “àt”, ” ìt”, ” üt” quelli dei verbi regolari, che il milanese suole troncare in “à”, “ì”, “ü””.
Rispetto alle tante caratteristiche distintive del dialetto di quei tempi, nei confronti col milanese, si sono avverate solo due significative modificazioni: 1) si è introdotto il suono “ö” in luogo dell’antico suono “ó”, di cui già s’è detto; 2) le desinenze in “én” nasale dei vocaboli terminanti in “ino” in italiano (es. giardén, campanén) si sono trasformate in “in” (giardin, campanin), ma permangono tuttora nel dialetto di S. Angelo Lodigiano.
La vocale “e” finale dei nomi al singolare è rimasta tipica nel dialetto santangiolino. In Lodi città si ascolta invece la finale “u”, in alternativa alla versione tronca, es. tip(u) , gat(u), spilorc(iu), ghelf(u), cap(u), inturn(u), giruag(u), cap(u), cas(u), dirit(u), fürb(u), svelt(u); oltre ai vezzeggiativi (dall’italiano “ello”, “etto” e “otto”), es. turel(u), visiet(u), ciciot(u). La “u” finale è avvertibile in certi casi anche come vocale eufonica (es. Spiritu Sant). Tutto il resto è praticamente inalterato.
È dunque rimarchevole il fatto che non si siano realizzate che in minima parte le previsioni degli studiosi dell’Ottocento, anche locali, che prevedevano l’assorbimento del dialetto lodigiano nell’alveo più capiente della lingua milanese. Anzi, si sono andate consolidando altre peculiarità. Rispetto al dialetto del De Lemene e del milanese, ad esempio, l’attuale dialetto di Lodi permuta la e atona delle desinenze dei verbi di 3° persona pl. in “u” (càlun per càlen, véndun per vènden, finìsun per finìssen). È insomma ancora valida la prova verbale per il “controllo” delle origini lodigiane: I gati sü i téci i rùnpun i cupi; per un milanese sarebbe I gatt su i tècc i rónpen i cópp.
Si è andata affermando, infine, per tutta la provincia lodigiana, una grafia autonoma. Nessuno usa più la o per il suono della “u” toscana (es. amur e non amor, cun e non con). Sempre meno scriventi usano ancora raddoppiare le consonanti (se non per dare il suono della “s” sorda con il digramma “ss”). Pochi usano la “z” per il suono sonoro di “s”; meno ancora usano “oeu” in luogo di “ö”, o “u” per “ü”. È giusto sottolineare che queste impostazioni, si sono rivelate quasi perfettamente in linea con la proposta di grafia comune per i dialetti lombardi, formulata dallo studioso Claudio Beretta, coordinatore dei lavori per la pubblicazione di “Parlate e dialetti della Lombardia, Lessico comparato” (Oscar Mondadori, 2003).

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Bruno Pezzini