145

"Tèh!, me c'é lùt el lèf..." - "fa' ciü el glùp" - "A cì?!, pavlàd mì, pavlàd tì, em pavlàd tüte tvì".

"Tèh, mi si è rotto il refe..." - "annodalo" - "A sì?!, ho parlato io, hai parlato tu, abbiamo parlato tutt’e tre".
Tre sorelle da maritare, con vistosi difetti di pronuncia, dovevano ricevere la visita di un pretendente, che ne avrebbe scelta una per moglie. Il padre impose loro di stare assolutamente zitte per non fare brutta figura, e di tenere la testa china sui lavori di cucito per mostrare timidezza e rispetto.
Così si stavano comportando; ma ad una, alla quale si ruppe il filo, venne istintiva un’esclamazione di disappunto, che provocava gli interventi delle altre due.
Inutile dire che il matrimonio, almeno per quell’occasione, andò a monte.


146

Ogni déŝ èti l'é un chìlu.

Considerazione spiritosamente lapalissiana, che segue espressioni tipo "l'é pe
ŝànt" (riferite, per esempio, a un cibo).


147

Tvì èti de pivìn e mavéne; püfé pivìn, pevchè mavéne i én màve.

"Tre etti di perine e di amarene; più perine, perché le amarene sono amare".
Detto per sottolineare difetti di pronuncia, raccontando di un ragazzo con il medesimo problema, che, nell'aneddoto scherzoso, va a far compere da un fruttivendolo.


148

"Parbleu!" - "pàr blö perchè l'é sìra, ma dumàn l'é bèla giàlda".

E' un'antica barzelletta che racconta di un campagnolo lombardo a Parigi, il quale, per una forte impellenza, soddisfa i suoi bisogni corporali in luogo non del tutto nascosto. Un passante parigino commenta la non gradita visione esclamando "parbleu!". Il villano pensa a un riferimento al colore ("pàr blö") di quanto ha "depositato", rispondendo premurosamente che sembra blu perché è sera, ma che all'indomani apparirà nel suo colore naturale.


149

ŝ öu, un öu, dü òu, trì öu...

Da un'antica barzelletta; il primo giorno di lavoro presso un falegname tirchio, l'apprendista aveva ricevuto per colazione la "bellezza" di mezzo uovo; alla ripresa del lavoro rallentò i movimenti, cadenzandoli con "mé
ŝ öu, méŝ öu, méŝ öu,..."; era come dire che avrebbe lavorato con lena proporzionale a quanto avrebbe ricevuto da mangiare; il padrone capì e i giorni seguenti gli aumentò progressivamente le dosi di uova; quello aumentava i movimenti, commentandoli con quanto via via riceveva.


150

Ocio moro, naso lungo, muso tondo.

Da una antica barzelletta; "occhio moro, naso lungo, muso tondo", è la descrizione, verbalizzata da un poliziotto delle ferrovie, al passaggio di un treno, dal cui finestrino era stato visto un "viso" sporgersi pericolosamente; in realtà era il deretano di qualcuno che non potendosi trattenere dall'andare di corpo, la faceva dal finestrino del treno in corsa.


151

"Adalgìŝa, l'èra un pés che te spetévi" - "no, Sandrón, l'èra una ràna".

La voce "pés" significa anche <pesce>; da qui è nata la facezia verbale.


152

"ndém via, o stém chì pü?".

"Ce ne andiamo, o non restiamo più?".
Motto scherzoso per dire "ce ne vogliamo andare?".


153

“Cìtus, mùtus, non barbutàris Dèi!” - “l'é pusìbul pusibilàstru, che béstia buìnibus la fa el caghìribus sül cantìribus?”.

Alla testa di una processione, il sacrestano portava alzato il grosso crocifisso, seguito dal parroco, dai chierichetti e dai numerosi fedeli. Ad una svolta, calpestò un “deposito” molle di vacca, mettendosi ad imprecare poco cristianamente. Per non compromettere la sacralità della funzione in corso, il parroco lo redarguì ad alta voce in "latinorum", mascherando l’ammonimento fra i canti liturgici: "zitto, muto, non borbottare contro Dio". Il sacrestano si giustificò, cantando a sua volta la risposta.: "è mai possibile che una bestia bovina faccia la cacca sull’angolo di strada?!".


154

Mòrtus est in camiciòla, mòrtus est non più sifùla.

Per dire scherzosamente "morto stecchito" (in latinorum).


155

I trì paiŝàn che i vurévun parlà in italiàn.

Si raccontava di tre paesani ambiziosi, che volevano apprendere le finezze della lingua italiana, di cui conoscevano poco o niente (era il tempo in cui molti non frequentavano le scuole, e non erano ancora stati pubblicati dizionari dialettali).
Portatisi a Lodi, giravano fra i crocchi di borghesi, commercianti, artigiani e agricoltori che animavano la Piazza. Si erano ripromessi di memorizzare ciascuno una frase ad effetto, da spendere per far colpo in occasioni propizie.
Il primo colse da un gruppo di persone: "è stato ucciso" (forse si stava parlando di un maiale); il secondo ascoltò da un altro gruppo: "siamo stati noi"; il terzo fu affascinato da: "per il danaro".
Sulla via del ritorno, mentre ripassavano le frasi imparate, si imbatterono nel cadavere di un uomo, steso a terra con un coltello nella schiena. Uno di loro estrasse il coltello ancora grondante sangue.
Via via si era formato un capannello di curiosi, che attirò l’attenzione di un carabiniere. Questi domandò agli astanti: "cos’è capitato? ". Il primo paesano, di fronte alla possibilità di fare bella figura davanti ad un uomo dell’ordine, rispose con la sua frase : "è stato ucciso". Il carabiniere domandò ancora: "chi è stato? "; il secondo paesano, con in mano il coltello, rispose sollecito: "siamo stati noi". Il carabiniere domandò infine: "per quale motivo? "; il terzo paesano, tutto orgoglioso, rispose: "per il danaro".
Furono ammanettati e portati immediatamente in prigione.


156

La dòna che la ghe parléva ai mòrti.

Una moglie infedele riceveva le visite notturne dell’amante, approfittando delle assenze del marito. Quando il coniuge, ignaro di tutto, dormiva in casa, la fedifraga metteva in vista un osso sul davanzale della finestra a fianco della porta.
Venne la volta che si dimenticò di esporre il segnale. I consorti stavano dormendo profondamente, quando nel cuore della notte arrivò il ganzo e bussò, svegliandoli di soprassalto. Per non destare sospetti nel marito, ansioso di sapere chi fosse alla porta, la donna ebbe la prontezza di gridare nel buio: "vàt in pace, o mortüòs! me son de
ŝmentegàda l’òs…; vàt in pace, o mortüòs!!! ". Quello capì e se la diede a gambe.
Il giorno dopo, il marito andava in giro a ripetere che la moglie sapeva parlare con le anime in pena dei morti.
I vicini conoscevano anche l’abilità con cui sapeva trattare con i bollenti spiriti degli uomini vivi.


157

"Quanti in cùa?" - "trentadùa" - "quanti gh'n'è?" - "trentatrè" - "quanti i en i mé danè?".

Formula del gioco consistente nell’indovinare le monete nascoste fra le due mani congiunte.


158

Insì picinìn, el füma.

"Così piccolo, fuma".
Indovinello greve; la soluzione è "el strùns".