Come in italiano, i pronomi sono di sei specie diverse:

- personale
- possessivo
- dimostrativo
- relativo
- relativo interrogativo
- indefinito

PRONOMI PERSONALI

Vi sono pronomi di prima, seconda e terza persona, singolare e plurale.
Solo in terza persona singolare si distingue il maschile dal femminile.
Una caratteristica del dialetto è la particella pronominale atona che, nelle diverse categorie di persone, singolare e plurale, si lega al pronome tonico, o lo sostituisce.
Le forme atone, oltre a essere diverse per genere e per numero, sono anche diverse secondo che abbiano valore di soggetto o di complemento.
La forma di cortesia «», corrispondente all’italiano <voi>, è destinata a scomparire nel dialetto delle nuove generazioni. Le forme di cortesia <lei> ed <ella> non hanno un proprio corrispondente in dialetto; «» traduce <lui> <egli> <esso> <lei> (di cortesia) <ella> (di cortesia) <voi> (di cortesia).

Pronome soggetto


Tranne che nella prima persona singolare e nella prima e seconda persona plurale, la particella atona «a» può accompagnare pleonasticamente il pronome «» soggetto e il pronome accusativo «i» (<li> o <le> dell’italiano), es.:a son andài; lü i a véde.
Può altresì seguire o sostituire (soprattutto in prima e terza persona singolare) tutti i pronomi personali soggetto, tonici o atoni.
E’ possibile la presenza contemporanea di tre o più pronomi personali tonici o atoni, es.: () (a) te vöri andà; () (a) l’é adré a végn; (lùr) (a) i en rivàdi.
Le particelle atone «te» «el» «la» «i» figurano sempre nella coniugazione del verbo (tranne che nell’imperativo), precedendolo sempre in presenza enfatica o in assenza dei pronomi soggetto «mì» «tì» «lü» «lé» «lùr», es.: (tì) te cànti, (lü) el cànta, (lé) la cànta, (lùr) i càntun.
Tali particelle precedono il verbo anche quando i pronomi soggetto medesimi seguono il verbo (es.: te cànti tì; el cànta lü; i càntun lùr).
La scelta dell’utilizzo dei pronomi tonici o atoni dà carattere e sfumature al discorso, soprattutto nel dialetto parlato.
La particella «a» precede la particella «i», quando questa non esprime l’accusativo (es.: lùr a i en scémi), altrimenti la seguono (es.: lùr i a vörun no).
Nel dialetto scritto è dato di vedere l’unione fra le due particelle (es.: lùr ia vörun no), o anche l’unione della particella «i» con il verbo (es.: lùr ien scémi).
Quando la parola precedente termina con «e», è quest’ultima vocale che può essere eliminata, lasciando completa la particella «el» (es.: quèl ch' el vör).

Pronome complemento accusativo


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Pronome complemento dativo



Quando le particelle atone «me» «te» «ve» (e «se» riflessivo) si legano encliticamente alla fine delle forme verbali, perdono la vocale, es.: dàm la màn, métet sü i ugiài, vöi fàv sentì.

Conserva la vocale la particella «la». La particella «el» perde la vocale se unita a verbo all’infinito che termina per vocale accentata, es.: töl, purtàl, cüràl. Negli altri infiniti e nelle altre forme verbali si lega integralmente alla radice, es.: màngel no.

La particella «ghe» (vedi capitolo successivo) presenta le due alternative, con preferenza per il mantenimento della vocale, es.: fàghe un grùp, oppure fàgh un grùp.

La particella atona «la» può essere usata anche al maschile, es.: la vöri no, in luogo di el vöri no, che può significare <non la voglio> o <non lo voglio>.
In alcuni casi non esiste alternativa, es.: lü la màngia no, in quanto lü el màngia no significherebbe unicamente <lui non mangia>, anziché <lui non lo/la mangia>.

Pronome riflessivo



In prima persona singolare e seconda persona plurale esistono le forme alternative «me» «me se» e «ve» «ve se» (es.: me gìri, oppure me se gìri; ve girì, oppure ve se girì).

In terza persona singolare e plurale esistono le forme alternative «se» «el se» «i se» (es.: se sénte bén, oppure el se sénte bén; se làvun, oppure i se làvun).

In enclisi col verbo, le particelle atone perdono la vocale (es.: lavàm, lavàt, lavàs, lavàv).
La particella atona «se» (terza persona singolare) traduce il pronome indefinito <si> dell’italiano.

Il pronome <sé> dell’italiano (terza persona maschile e femminile) non ha un proprio corrispondente in dialetto, che utilizza in suo luogo i pronomi personali di complemento (es.: el pénsa apéna per lü; la vör per lé; i pòrtun cun lùr); da per lü (<da sé>, ma anche <da solo>); <se stesso/se stessi> possono tradursi in lü medéŝim/lùr medéŝimi.

Una curiosità: esempio di sei particelle pronominali consecutive che possono apparire in un'unica frase = mì a me se i a sògni no le ròbe (<io non me le sogno le cose>).

PRONOMI POSSESSIVI



Note: si rimanda alle note del capitolo aggettivi possessivi

PRONOMI DIMOSTRATIVI

Nella tabella che segue vengono messi a confronto i pronomi dimostrativi con gli aggettivi dimostrativi (vedi apposito capitolo).




PRONOMI RELATIVI

Nella tabella che segue sono evidenziati i pronomi relativi dell’italiano, con gli equivalenti pronomi relativi dialettali.




Mentre in italiano il pronome <che> può avere funzione soltanto di soggetto o di complemento oggetto, «che» del dialetto sostituisce anche il pronome <cui> nei complementi indiretti: <di cui><a cui> <da cui> <in cui><con cui>.
Al pronome relativo «che», oltre alle particelle pronominali atone «te» «el» «la» di seconda e terza persona singolare e terza persona plurale (che precedono per regola il verbo) seguono le particelle di complemento indiretto «me» «te» (di prima e seconda persona singolare), «ghe» (di terza persona singolare e di prima e terza persona plurale) «ve» di seconda persona plurale, nonché la particella «na».
Alcuni esempi:
– <la cosa, di cui ti ho parlato>= la ròba che te n'ho parlàd.
– <la ragazza, alla quale fai la corte>= la fiöla che te ghe fé la córte.
– <il centravanti, con il quale gioco>= el centravànti che ghe giöghi inséma.

Alternativamente a tali soluzioni, vengono in pratica sempre più utilizzate forme sintattiche allineate ai criteri grammaticali dell'italiano (es.: el centravànti che 'l giöga cun mì invece di el centravànti che ghe giöghi inséma).
Se <da cui>e <in cui> esprimono concetti di luogo e di tempo, vengono normalmente rese in dialetto con gli avverbi «dùe» (e simili) e «quànd» (es.: <il paese da cui provengo>= el paéŝ da dùe végni; <il paese in cui arrivo>= el paéŝ dùe/in dùe/duè che són rivàd;

Di norma, il pronome <chi> dell’italiano si traduce con «chi l’è che» (<chi è che>); es.: chi l’è che ‘l rùmpe, el pàga; va’ pür cun chi l’è che te vöi.
«chi l’è che» può essere sostituito da «quèl che»; es.: chi l’ è che ‘l rìva ültim, el pàga per tüti; oppure quèl che rìva ültim, el pàga per tüti.

«quèl che» significa anche <ciò che> (es.: quèl che ho dit, ho dit).
In casi rari, quando si vuole dare particolare enfasi al discorso, vengono usati «el quàle» (o «el quàl») e «la quàle» (o «la quàla», più arcaico)

PRONOMI RELATIVI INTERROGATIVI



Come nel pronome relativo, l’interrogativo «chi» è seguito dalle locuzioni «...l’è» o «...l’è che» Nelle domande <chi?> o <chi è?> fa «chi l’è?», oppure «chi l’è che l’é?».
Da notare come la terza persona presente del verbo <essere> cambi di accento, che diventa aperto dopo «chi».

Gli interrogativi con «ròba» (<cosa>), possono essere o non essere seguiti dalla locuzione «l’è» (es.: che ròba te vöi?, oppure che ròba l'é che te vöi?).

«che ròba» è sostituibile da «se»; anche questo può essere o non essere seguito da «...l'é che?», es.: se te vöi?; oppure se l’é che te vöi?.
Il pronome «se» non corrisponde al riflessivo o alla particella pronominale atona; deriva invece dall’aferesi di «còsse» <cose>, andato in disuso.

La «e» di «se» si elide di frequente davanti a «t», soprattutto quando precede la particella pronominale «te», es.: s’te fé? <cosa fai?>.

Con l’uso di «se», senza la locuzione «l’é che», la frase interrogativa può chiudersi rafforzativamente con la locuzione «cuŝ’è» (<cos’è>), es.: se te vöi cuŝ’è?.

Il pronome interrogativo italiano <quale?> trova corrispondenza in «quèl?», o in «quèl che…?» (es.: “l’è adré a lége un lìber” - “quèl?”; "g’ho chì dù caramèle; quèla che te preferìsi?").

PRONOMI INDEFINITI

Diventano pronomi indefiniti la maggior parte degli aggettivi indefiniti quando, anziché essere accompagnati da un sostantivo, ne fanno le veci.
Vengono di seguito indicati i principali aggettivi indefiniti che possono diventare anche pronomi. Vengono altresì evidenziati quegli aggettivi indefiniti che non hanno alcun corrispondente tra i pronomi e viceversa. I criteri partono dal punto di vista del dialetto.

Pronomi e aggettivi



In dialetto, «qualùnque» e «qualsìasi» possono essere usati al posto di «chiùnque» (es.: l’è bón qualùnque de…; qualsìasi l’è bón de…).

Solo pronomi



Solo aggettivo



Esempio: quàlche dì végni a truàt; oppure quài dì végni a truàt.